Il SIC Abetina di Ruoti, identificato , è situato interamente nel comune di Ruoti tra la S.P 7 e il bivio per il comune di Avigliano. L’importanza del sito è dovuta alla presenza di popolazioni relitte di abete bianco di notevole importanza sul piano della conservazione del germoplasma. Già nel 1971 la Società Italiana di Botanica (SBI) censì l’abetina di Ruoti come biotopo di rilevante interesse vegetazionale e conservazionistico per la presenza nell’area di nuclei di abete bianco autoctono.
L’Abetina di Ruoti è un bosco che, fino agli anni ’30 veniva descritto dal Gavioli (1934) come “un bosco quasi puro di Abies alba, ricco di magnifici e colossali esemplari”. Le successive utilizzazioni hanno determinato la riduzione delle aree con presenza di abete bianco e una maggiore presenza del cerro. Il sottobosco è ricco di specie arbustive ed erbacee fra le quali anche specie rare ed endemiche.
Particolarità del sito è che l’abete bianco vegeta in cenosi miste con il cerro, mentre risulta rara la presenza del faggio. Già in documenti del 1848 si sottolineava la rarefazione del faggio che, nel corso dei rilievi, è stato riscontrato in una sola stazione. L’abete bianco è diffuso in quasi tutta l’area SIC con esemplari isolati anche di notevoli dimensioni e/o biogruppi stratificati e presenta un buon grado di rinnovazione naturale.
IL TERRITORIO
L’area del SIC “ Abetina di Ruoti” ricade interamente nel bacino idrografico del Sele. Ha una estensione di circa 162 ha e una altitudine compresa fra 841 e 1055 m slm. L’esposizione prevalente è nord-ovest con una pendenza dei versanti variabile. Dal punto di vista pedologico l’area del SIC ricade nella regione pedologica 61.1 “Regione dei Cambisols-Regosols con Luvisols dell’Italia orientale” i cui materiali parentali sono rocce sedimentarie terziarie (flysc marnosi, argillosi e arenacei).
Parte del SIC ricade nella provincia pedologica 7 “Suoli dei rilievi centrali a morfologia ondulata” a substrato costituito da rocce sedimentarie terziarie: alternanza di formazioni tardo-mioceniche di natura marnoso-arenacea, con formazioni plioceniche di natura sabbioso-argillosa. Di questa provincia pedologica fanno parte anche molte formazioni a litologia argillosa come la argille varicolori (Codice M1-O3 della Carte Geologica Nazionale: “Complesso di Argille Vari colori”). Queste argille presentano una tendenza all’instabilità per movimenti superficiali ( colate fangose) che per movimenti più profondi (franosi). I suoli sono a tessitura moderatamente fine franco-argillosa ricchi di sostanza organica.
PAESAGGIO VIVENTE
Già nel 1971 la Società Italiana di Botanica (SBI) censì l’abetina di Ruoti come biotopo di rilevante interesse vegetazionale e conservazionistico per la presenza nell’area di nuclei di abete bianco autoctono. L’importanza del sito è, ancora oggi, dovuta alla presenza di popolazioni relitte di abete bianco di notevole importanza sul piano della conservazione del germoplasma. Particolarità del sito è che l’abete bianco vegeta in cenosi miste con il cerro, mentre risulta rara la presenza del faggio. Già in documenti del 1848 si sottolineava la rarefazione del faggio che, nel corso dei rilievi, è stato riscontrato in una sola stazione. L’abete bianco è diffuso in quasi tutta l’area SIC con esemplari isolati anche di notevoli dimensioni e/o biogruppi stratificati e presenta un buon grado di rinnovazione naturale. Rinnovazione che andrebbe però favorita con opportuni interventi selvicolturali.
L’Abetina di Ruoti, insieme all’ Abetina di Laurenzana , rappresenta attualmente uno dei nuclei relitti di abete bianco presenti in Basilicata. L’area è per oltre circa l’80% ( riferendoci all’area con gli allargamenti proposti) coperta da habitat naturali di interesse comunitario fra i quali due considerati prioritari: il 9220*, che ricopre il 61,26 del SIC considerando anche l’area di ampliamento, e il 9180* (Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion ) che ne occupa circa il 2,5%.
Un elemento da menzionare, in quanto potenziale disturbo per il mantenimento di questo nucleo di abete bianco autoctono, è la presenza nel SIC di un nucleo di rimboschimento a conifere. Negli anni ’80 venne infatti realizzato un rimboschimento nell’area Nord-Ovest del SIC. Questo nucleo, limitrofo all’area coltivata, pur essendo molto circoscritto e di piccola superficie (circa 1 ha) è costituito da conifere quali: abete greco e abete bianco non autoctono. Quest’ultimo, da informazioni bibliografiche e testimonianze di attori locali, sarebbe proveniente da vivai toscani.
La presenza di abete greco e di abete bianco non autoctono può influenzare negativamente la conservazione del germoplasma locale. E’ possibile infatti una contaminazione delle popolazioni locali con i rimboschimenti: ”Dalla letteratura risultano casi di di popolazioni relitte di abete bianco del Matese (Banti, 1937, 1939; Mancini, 1982) e di abete rosso di Campolino (Magini e Giannini, 1977) la cui integrità genetica è minacciata rispettivamente dalla presenza di popolamenti antropici di abete greco nel primo caso e di abete rosso di provenienza boema nel secondo”. Potrebbero realizzarsi casi di ibridazione interspecifica, come ipotizzato anche per l’Abies nebrodensis in presenza di abeti esotici congeneri, che costituirebbero una potenziale minaccia dell’integrità genetica dei popolamenti autoctoni. Un approfondimento di quest’aspetto, circa l’entità e la significatività del rischio e i mezzi di contenimento, potrà essere realizzato nella fase di progettazione delle misure di conservazione.
FLORA
Dal punto di vista floristico nel SIC si segnala la presenza di taxa di notevole interesse conservazionistico e biogeografico con specie endemiche (motivazione B) come: Acer neapolitanum Ten., Euphorbia corallioides L., Linaria purpurea (L.) Mill., Pulmonaria apennina Cristof. et Puppi, Salix apennina A. K. Skvortsov, Teucrium siculum (Raf.) Guss., Tragopogon eriospermus Ten.
Da evidenziare ancora la presenza di specie protette a livello internazionale (motivazione C), riportate in CITES o nell’allegato V della Dir. 92/43 CEE, rappresentate da diverse Orchidaceae come: Anacamptis pyramidalis (L.) Rich., Cephalanthera damasonium (Mill.) Druce, Dactylorhiza maculata (L.) Soó, Neottia nidus-avis (L.) Rich., Ophrys fusca Link, Orchis mascula (L.) L., Orchis purpurea Huds., Platanthera bifolia (L.) Rchb., Serapias vomeracea (Burm. fil.) Briq. nonché da Cyclamen hederifolium Aiton, Galanthus nivalis L. Ruscus aculeatus L.
Le specie protette a livello regionale (DPGR 55/2005) (motivazione D) sono tutte le orchidee, insieme con Abies alba Mill., anche citato nelle Liste regionali, oltre a: Ilex aquifolium L., Lilium bulbiferum L. subsp. croceum (Chaix) Jan, Tilia platyphyllos Scop. Ulmus glabra Huds. Il SIC infine vanta la presenza di un notevole novero di specie rare e/o significative ai fini della caratterizzazione degli habitat (motivazione D) come: Acer pseudoplatanus L., Arum maculatum L., Crataegus laevigata (Poir.) DC. Euonymus verrucosus Scop., Iris lorea Janka, Lonicera caprifolium L., Physospermum verticillatum (Waldst. et Kit.) Vis., Ranunculus millefoliatus Vahl, Rumex sanguineus L., Salix apennina A. K. Skvortsov, Silene italica (L.) Pers., Stachys heraclea All., Stachys sylvatica L.
FAUNA
La fauna presente è quella tipica delle piccole formazioni forestali con poche specie strettamente legate alle cenosi boschive. Spicca comunque la presenza in sintopia di Lissotriton italicus, di Bombina pachypus, di Salamandrina terdigitata, di Rana italica e Rana dalmatina. La buona disponibilità di acqua e di prede determina anche la presenza di Natrix natrix.
SEGNI DELL’UOMO
Molti sono i documenti storici disponibili presso l’Archivio di Stato di Potenza che permettono di affermare che l’Abetina di Ruoti era anticamente molto estesa e che, almeno fino agli anni trenta,” l’abete costituiva un popolamento con piante di dimensioni tali da consentire alle persone di attraversarlo camminando sui rami”. Oltre alla già citata ricerca del Gavioli, esistono numerose testimonianze storiche precedenti che evidenziano che il luogo denominato “abietina” fosse “ricoperto dappertutto unicamente di bellissimi abeti “. Fra i botanici che si interessarono dell’area vanno citati Tenore e Gussone, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, che nel corso di rilievi realizzati nel 1838 evidenziarono la presenza in questa area di “abeti bellissimi e del piu’ grande pregio per le costruzioni navali e civili”. Una approfondita raccolta della documentazione storica relativa all’area Sic è presente nei lavori di tirocinio e di Tesi di laurea, rispettivamente di Palladino M. e Gentilesca T.
Tra la fine degli anni trenta e il decennio successivo la maggior parte delle piante di abete furono tagliate dando così spazio ai seminativi e all’espansione del cerro. A queste utilizzazioni non attente del passato sono “sopravvissuti” diversi gruppi di piante e anche molte piante vetuste. Questa situazione, unita a favorevoli condizioni di clima e umidità dell’area, ha permesso che si realizzasse, in alcune zone, una abbondante rinnovazione dell’abete permettendo così il mantenimento di questo importante nucleo di abete autoctono.
Una significativa parte del SIC, pari al 17,90% è interessata da attività agricole quali colture cerealicole-foraggere estensive (12,53%) e colture orticole (5,37). L’agricoltura praticata nell’area, per i cui dettagli si rimanda al paragrafo sulla componente agro-zootecnica, è un’agricoltura di tipo tradizionale attuata, essenzialmente per l’autoconsumo, dai nuclei familiari che vivono nell’area. La si può pertanto considerare a basso impatto, o addirittura favorevole ai fini dell’obiettivo di conservazione dell’area ( es: presidio del territorio ). Inoltre, dalle osservazioni fatte durante i rilievi, e dalle fotointerpretazioni di ortofoto di relative ad anni differenti, non si evidenziano situazioni di cambiamento d’uso del territorio a favore dell’agricoltura (es: disboscamenti a vantaggio dei seminativi). Anche l’utilizzazione del bosco è limitata, come evidenziato nel paragrafo 4.3 del formulario standard, alla sola utilizzazione dei prodotti del sottobosco e a tagli a scelta a carico del cerro.
Questa situazione di “equilibrio” nell’uso del bosco va comunque controllata ma certamente, viste anche le diverse condizioni socio-economiche rispetto ai decenni precedenti, che hanno portato ad una riduzione della pressione demografica nelle aree rurali e ad una riduzione dell’uso di legna come combustibile e/o come unica risorsa economica delle famiglie contadine è ipotizzabile che la pressione antropica e dell’agricoltura nell’area SIC non costituiranno fattore di vulnerabilità dell’area.