Il Bosco Grande di Ruoti è il luogo perfetto per perdersi nella natura.
Situato a circa 1200 metri di altezza, a pochi passi dal sito d’interesse comunitario del Monte Foi, ha una superficie di circa 2000 ettari ed è costituito da piante di faggio e cerro e abete bianco, quest’ultimo è concentrato nella parte alta del bosco, chiamata appunto Abetina.
L’abete bianco (Abies alba) soprannominato “il principe dei boschi”, per la sua maestosità e la notevole altezza (in media 30 metri, alcuni esemplari possono superare 50 metri), costituisce il popolamento principale del manto boschivo di Ruoti e, secondo i documenti storici disponibili presso l’Archivio di Stato di Potenza, fino agli anni trenta, la sua estensione era tale “da consentire alle persone di attraversarlo camminando sui rami”. Oggi, nonostante i drastici tagli effettuati nel corso degli anni quaranta dal Principe Ruffo, l’Abetina di Ruoti insieme all’Abetina di Laurenzana, rappresenta uno dei nuclei relitti di Abete bianco presenti in Basilicata.
Per il resto il bosco è costituito dalla consociazione di abete bianco, per il 40% da piante di cerro, per il 10% da piante di nocciolo, agrifoglio ed altre caducifoglie (carpino nero, carpino bianco, parastro, acero e faggio alle quote maggiori).
Tutto il sottobosco è percorribile a piedi, partendo da Varco del Torno, l’area picnic, si possono intraprendere diversi percorsi in cui si alternano piste forestali e sentieri di montagna e, andando in alto, sempre più in alto dove la natura cresce fitta e rigogliosa, quando il fiato è sempre più corto e le gambe diventano pesanti, ecco che si apre uno scenario meraviglioso: il lago Scuro e il lago Toppo Romito.
Questi due laghi naturali poco distanti tra loro, si sono formati nel tempo a causa degli smottamenti del terreno, ma il Bosco Grande serba altre bellezze ed altri segreti: uno di questi è la grotta Furcino.
Oggetto di studio dello Speleo club di Muro Lucano, la grotta è stata esplorata diverse volte nel corso degli anni. Secondo le osservazioni finora raccolte dal presidente dello Speleo club, Gerardo Ferrara e dallo speleologo Antonio Cammarelle, si potrebbe trattare di una grotta ipogenica oppure (ipotesi più accreditata) di una risorgenza creata dalla presenza di un fiume sotterraneo, che evidentemente doveva esserci in un lontano passato; del nome invece, non si hanno informazioni certe, a parte che veniva indicata così sin dagli inizi del novecento.
Diverse, sono invece le notizie tramandate dagli anziani: si racconta che nel primo novecento questa grotta venisse usata come luogo di ritrovo per banchetti e balli dato che era costituita da due vani grandi e spaziosi; nel corso degli anni poi utilizzata come punto di ristoro per il pascolo. Ma c’è un’altra storia, sicuramente più affascinante, quella che lega la grotta Furcino ai briganti: si narra che la cripta costituisse per loro un rifugio e al tempo stesso una via di fuga, poiché ci sarebbe un cunicolo sotterraneo che conduce all’uscita del bosco. Per quanto riguarda il nome invece, probabilmente si chiama così come riferimento alla famiglia «Furcin» che all’epoca possedeva quei terreni.